Nella settima sala della Quadreria si trova in mostra un esemplare ottocentesco di Ruota degli Esposti, che abbiamo scelto di porre all’interno del percorso museale per tracciare una sorta di continuità tra il passato storico della città e i moderni servizi per l’infanzia forniti da ASP città di Bologna.
Quando si parla di assistenza agli esposti a Bologna, si deve raccontare dell’Ospedale di San Procolo, di cui si fa menzione nei documenti per la prima volta nel 1250, quale ricovero per gli infanti abbandonati e di proprietà dei monaci benedettini. Nel 1459 la Compagnia dei Bastardini prese la gestione dell’Ospedale e per secoli si occupò dell’afflusso dei bambini. Alla fine del XVIII sec le truppe napoleoniche occuparono il Convento per utilizzarlo come in caserma, poi, in allo sgombero dei soldati, nel 1798 papa Pio VII attribuì definitivamente la proprietà dei locali all’Opera Pia degli Esposti e nella prima metà del XIX sec l’Ospizio ebbe la sua sede in via d’Azeglio 56. L’istituto si dedicò al solo ricovero degli esposti fino al 1860, quando Luigi Carlo Farini, Governatore dell’Emilia Romagna, vi aggregò l’Asilo di Maternità, affinché le madri nubili potessero avere un luogo discreto, protetto con adeguata assistenza, per far nascere i loro bambini. Così rimase fino a che nel 1999 la Maternità fu trasferita a Villa Erbosa.
Nel 1876 la Ruota degli Esposti a Bologna era già stata abolita in tutte le istituzioni caritatevoli e i bambini che entravano, invece di essere abbandonati anonimamente come in precedenza, dovevano essere accompagnati da un’elemosina; le madri che non erano in grado di pagare venivano reclutate per un anno come balie interne, pur non potendo allattare i propri bambini. A queste donne era dedicato il “quartiere delle balie”, che ne poteva ospitare circa una decina. Tuttavia c’erano anche balie professioniste, esterne all’istituto: si trattava per lo più di donne provenienti dai comuni della montagna bolognese o di origine contadina. L’idoneità per esercitare questo mestiere veniva rilasciata dalle parrocchie. I bambini allevati dalle balie esterne venivano condotti presso le loro abitazioni private, in cambio queste percepivano un salario.
I maschi spesso rimanevano presso la famiglia della balia che li aveva allattati, per rendersi utili nel lavoro dei campi o come garzoni. Le bambine, invece, verso i dodici anni venivano destinate alla vita di Conservatorio. Come già spiegato in precedenza, a Bologna i Conservatori erano diversi (Baraccano, Santa Marta, S. Croce, S. Giuseppe); il Conservatorio “delle Zitelle Esposte” era considerato meno prestigioso e forniva un’educazione meno specializzata: accoglieva tutte le bambine abbandonate che venivano istruite a leggere, scrivere, fare di conto e, solo le più dotate, al canto o allo studio dell’organo e del violino. Era concesso di rimanere fin quando non si fossero sposate, monacate oppure fino alla morte. Il Conservatorio delle Zitelle fu poi chiuso negli anni Venti del Novecento. Alla fine degli anni Quaranta all’interno del complesso venne fondato il Teatro “La Soffitta” dai giovani registi Sandro Bolchi e Adriano Magli, dal critico Massimo Dursi e dal giornalista Enzo Biagi; il teatro chiuse per difficoltà finanziarie nel 1955, per riaprire col nome di Teatro “La Ribalta” ed essere assegnato nel 1990 al DAMS.
All’interno dell’edificio ci sono tre chiostri con quadriportico del XVI sec. e nel grande refettorio si trova la Pesca miracolosa di Lionello Spada (1576 – 1622), insieme agli affreschi di Alessandro Chiarini del XVII sec., e di Gaetano Gandolfi, del XVIII sec., questi ultimi trasferiti presso la Pinacoteca Nazionale. Impossibile non citare poi la scultura che si trova proprio sotto al portico di San Procolo, il “Diavoletto” opera del Giambologna (1529 – 1608) e copia di quello che si trova a Palazzo Vecchio a Firenze.

Fronte porticato su Via d’Azeglio. Foto di Paolo Monti, 1970
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